La notizia è che sto lavorando a testi nuovi. Naturalmente questa sarebbe una notizia anche per il grande pubblico:
1) se avessi un grande pubblico a cui comunicarla;
2) se a tale pubblico fosse nota la mia pigrizia.
In ogni caso, sto lavorando a testi nuovi. Nel frattempo, pubblico il primo componimento di una trilogia d’amore che ho scritto tempo addietro, prendendo spunto dal mito, in questo caso la storia di Amore e Psiche.
Siccome della trilogia ho scritto solo i primi due testi, si tratta anche di uno sprone – a me necessario – a completare l’opera.
Amore e Psiche
Mentre tu dormi, Amore mio, sfinito
dal tuo stesso vigore, dalle risa,
dalle fatiche del tenero amplesso,
per gioco ti percorro con le mani,
sfiorando con il tocco le tue membra,
i tuoi muscoli forti. Tu riposi;
come vorrei capirti, finalmente!
Me lo proibisci: «Psiche, mio tesoro,
non voglio fare luce su me stesso;
ho già sofferto ed ecco le ferite».
E ben più d’una volta mi guidasti
in cerca delle piaghe del costato.
Me infelice! Rispetterò il comando
o cederò alla voglia di vederti?
Ma ecco, più non posso trattenermi:
l’interruttore tenta la mia mano
e accendo l’abat-jour accanto al letto.
Allora tu m’appari, Amore mio,
bello da farmi male dentro al petto,
così che sole le mie carni vanno
all’incontro di te, della tua pelle,
ch’inebria come ambrosia le mie nari.
Al tatto del mio corpo vedo aprirsi
con tremulo sorriso le tue labbra,
ma subito t’accorgi della luce
e con un grido, nudo, t’allontani.
«Psiche, che hai fatto, Psiche maledetta?
Amore è perso e sanguina nel cuore!»
Già tutta sola languo nel mio letto,
inutile ed orribile a me stessa,
e con le unghie il seno mi maltratto.
Mi levo, cado in terra, mi tormento,
ma quando l’alba giunge coi suoi raggi
infilo un camicione e sono fuori,
alla ricerca del perduto Amore.
Perlustro piazze e vicoli e cancelli,
infine lo raggiungo alla fermata
del tram, dove seduto su una panca
attende, sguardo vacuo, un po’ ubriaco,
la prima corsa del nuovo mattino.
«Adesso che mi hai visto, dolce Psiche,
ti verrò a noia, come accade a tanti?».
«Non credo», gli rispondo intenerita,
e sopra il petto mio adagia il capo.
[Mario Badino]