Ho letto questo testo ieri a Torino, al Murazzi XMAS Slam, insieme a Lascia che ti percorra e altri pezzi.
Mi sono classificato terzo. Pubblico di seguito «Acciuga», che ho cercato di ammantare di suspence, promettendo di diffonderla soltanto dopo la gara.
So perfettamente che di questa mia strategia non si è accorto nessuno…
Acciuga
E magari farò come l’acciuga,
come l’acciuga scaltra,
quella che, accanto alle lampare, fiuta
la rete e s’allontana, svelta,
passa sotto la chiglia delle barche
e giunge indenne a riva.
Si ferma brevemente lungo il delta,
il tempo necessario
per prendere la sporta con il sale,
un attimo, e risale
lungo il corso del fiume grande, lento,
che si stende sereno;
odori sconosciuti tutt’intorno:
la notte, la campagna,
la melma, lungo i bordi, gracidante.
Com’è avvincente, pensa,
sembra un romanzo, e con la mente torna
ai pochi libri letti,
pochi, povera acciuga,
che il mare con il sale non conserva
l’inchiostro sulla carta,
lo confonde. Si sente vagabonda,
mentre nuota nel fiume:
ha abbandonato il banco, dopotutto;
forse c’è chi la cerca,
c’è chi la crede già morta pescata,
forse chi ancora spera
di trovarla. Ma tira avanti dritto,
risale la campagna,
si ferma qualche volta a rifiatare;
poi via, verso il Monviso:
chissà se l’acqua di montagna è buona
come si dice al mare,
se basterà il sale nella sporta,
che se finisce è morta.
Così mi sento anch’io: come l’acciuga,
come l’acciuga astuta;
astuto come un’acciuga, si dice,
c’è il proverbio. Mi fermo:
ed ecco la città con le sue luci.
I ponti sfavillano,
gli squarci dei lampioni nella notte
richiamano le stelle.
C’è voglia di avventura nei miei passi,
sprizzo vita dai pori.
Oltre le macchine ferme, in divieto,
accanto al parapetto,
l’acqua del fiume scorre silenziosa,
resto un instante fermo,
la contemplo sognante, poi riparto,
raggiungo il ristorante.
Oggi gran fiera della bagna caoda,
pazienza per l’acciuga. Mangio.