Genesi

Suppongo che la poesia non sia finita, anche se non so fin dove la vorrò continuare, visto che questa “Genesi” è soltanto il primo episodio di una fantasiosa storia del mondo che non ho alcuna intenzione di completare.

Come spesso avviene/avverrà in queste pagine, mi permetto di pubblicare i “pezzi”, il non-finito, salvo poi completare in seguito – o meno – riprendendo il tutto in un nuovo post.

Genesi

Una vasta pianura
tutta coperta di ciottoli,
senza rilievi né foreste o valli:
questo, in principio, era il mondo.
Girando in tondo in quel deserto
immenso, la donna e l’uomo
calpestarono la pietra,
e i sassi, urtando i sassi,
fecero spazio ai piccoli sentieri.
Il passo lento, cadenzato,
dei primi viaggiatori,
lo stesso corpo umano
cambiava faccia a quel paesaggio piatto
attraverso l’accumulo di scorie:
il sudore dei corpi, il sangue
di piccole ferite, i peli, le unghie,
le cellule epidermiche,
le feci, lo sperma, l’urina,
il sangue mestruale, il catarro,
il sale delle lacrime.

La sera, unendo i propri corpi,
l’uomo e la donna, insieme,
trovavano riparo dalla notte,
calore contro il buio,
conforto nel cammino.
L’angelo di Dio forniva il pane
e la caraffa dell’acqua,
perché non si arrestasse il loro andare,
perché la terra fosse trasformata
a partire dall’uomo e dalla donna.
Le briciole del pasto dalla terra
evocarono gli insetti,
le gocce del bicchiere le sorgenti.

Quando nacquero i figli, per un poco
l’umanità dimorò stanziale,
il tempo giusto per lo svezzamento;
poi si rimise in viaggio.
Compiuti i tredici anni,
i nuovi membri lasciavano il gruppo
per colonizzare altri ambienti,
e solo la morte dei genitori
li riportò un istante tutti insieme.

Bruciati i corpi amati,
sparsa la cenere al vento,
l’eredità divise quelle genti
e fu la prima guerra,
in cui il fratello massacrò il fratello
per qualche pezzo di chincaglieria
e il titolo di anziano.
Allora Dio, irritato,
sconvolse la natura sonnecchiante
gettando le montagne verso il cielo,
creando ampie depressioni
che furono coperte con il mare,
fondando l’alternanza di stagione,
prodigi che fermarono la guerra,
recando il volto attuale al mondo.

[Mario Badino, “è un po’ che ci penso”- 18 marzo 2013 – 1) Continua??]

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Incontro

Mi frulla per il capo di girare un video a partire da questo testo. Benché, al momento, quasi nessuno legga queste pagine, chiedo la collaborazione di aspiranti attori/attrici, cameraman, musicisti ecc. per la realizzazione.

Incontro

Un incontro improvviso
gioioso e inatteso
come fuochi nel cielo di Lequile
visti dal bordo della provinciale.

Poi si risale in macchina
e si riparte.

[Mario Badino, 10 marzo 2013]

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Ricerca

passaggio

Come in altri casi, mi domando se la poesia finisca qui, o se dovrei sforzarmi di continuarla.

Ricerca

Il vento freddo ha una domanda sola,
sempre la stessa: «Con chi
vuoi andare, oggi, sotto le coperte?»
A volte lo si ignora,
pensando che resistere sia giusto
e che non c’è rispetto
nel prendersi per fare un tratto solo,
oltre le luci bianche
che appaiono la sera sui lampioni.
A volte invece ci si presta:
si indossa un altro corpo sopra il proprio,
come un vestito nuovo,
sperando vada bene per la festa.

[Mario Badino, 09/03/13]

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Il mito di Alcione e Ceice

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Una nuova collaborazione con la fotografia, questa volta quella di Milena Galeoto, le cui immagini v’invito a guardare QUI. La foto di Milena, intitolata Viaggio, mi ha ispirato una poesia sul mito di Alcione e Ceice, il cui amore suscitò l’invidia degli dei.

Il volo di Alcione

E per aver paragonato
tuo marito a Zeus, povera Alcione,
vedesti il dolce sposo,
preso dai flutti e trascinato in fondo,
l’onda se lo inghiottì con la sua nave.
D’impulso ti lanciasti
verso di lui dalla scogliera,
ma l’alto re d’Olimpo,
ingiunse al vento d’afferrarti
e il vento ti cambiò le braccia in ali
e pose un becco sul tuo viso bello.
Così, fatta gabbiano,
spesso tu vaghi a pelo d’acqua
per ritrovare, una volta ancora,
il sorriso di Ceice dentro l’onda.
Ma c’è chi dice che la luna,
decisa a prenderti il tuo uomo,
dal mare lo rapì mentre affondava
e lo portò con sé, in mezzo al cielo.
Guidata da questa speranza,
la sera tu ti innalzi a colpi d’ala,
finché la lontananza ti sfinisce
e ti riporta a terra,
alle rocce sul mare dove hai casa.

[Mario Badino, 28/02/13-01/03/13]

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Ballando nella hall

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Continua il progetto di poesia e fotografia in collaborazione con il fotografo Moreno Vignolini. Per la seconda volta, tento di trasformare una sua foto in versi. Il titolo è «Ballando nella hall». Pubblico di seguito il testo. Moreno ha fatto altrettanto nella sua pagina Facebook, che potete visitare QUI.

Ballando nella hall

E non sanno guardare,
gli ospiti stanchi, i viaggiatori soli
seduti sui divani della hall,
divisi tra TV e cellulare.

E non sanno ascoltare,
perché la musica è dentro, nascosta
oltre gli schermi lucidi:
bisogna far silenzio per notarla.

Ma voi vi impossessate
di quest’atrio con la vostra presenza
che si fa danza e riso,
abbraccio e giravolta,
il corpo attraversato dalla luce
che vi ritaglia spazio
e che vi trasfigura,
felici, soli, al centro della scena.

[Mario Badino, 27 febbraio 2013]

>>> Per ingrandire la foto, cliccateci sopra.

>>> QUI la foto e il testo della prima collaborazione.

Moreno Vignolini è giornalista e fotografo. In Valle d’Aosta collabora con Aostasera.it, La Stampa ed è direttore del semestrale Rendez-Vous. Ha collaborato con mensili nazionali (Bell’Italia, Pleinair, Ottagono, Jesus…) e fa diverse altre cose. Crede che nell’osservazione di ciò che ci circonda quotidianamente si nasconda quella continua sorpresa, ricchezza dei semplici, capace di ridonare senso al cammino. Il suo è un esercizio cominciato da pochi anni con la consapevolezza che la strada da percorrere è ancora lunga. Intanto continua a scattare e a pubblicare qua e là le sue immagini, un po’ per gioco, un po’ per amor di condivisione. Si cresce sempre insieme, d’altronde, e comunque, come dice qualcuno, sa che la foto migliore è quella che scatterà “domani”.

Lo trovate su facebook – www.facebook.com/morenophotographer e nel sito http://www.moreno-photographer.com/.

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Il bagno della Musa

Pubblico per dimenticare (ogni riferimento alle elezioni politiche è più che scontato).

Musa che lasci il bagno
di mare zuppa d’acqua salsa
e sali sulla nube
cerulea che t’innalza
lassù, oltre gli ombrelloni,
lontano dalle creme,
dalla pelle abbronzata,
dalle urla dei bambini
che vengono alle mani
per un castello rotto,
aliena a queste cose;
tu, Musa cara e bella,
mentre verso l’Olimpo
serena ti dirigi,
sei richiamata a terra
dalla potenza lieve
di questa vecchia cetra.
Poetando, ti costringo
qui, in mezzo a noi bagnanti,
in mezzo agli ombrelloni
variopinti; sei presa
al laccio della rima,
la metrica ti avvinghia
e ti rilassi solo
con una birra in mano,
oppure mentre sfidi
gli amici a biliardino.
«Dite, l’avete vista?»
domandano i poeti,
ritti sulla battigia.
«È quella col costume
rosso, tutta contenta
perché ha segnato ancora»

[Mario Badino, 25 febbraio 2013]

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Canzone in LA minore (abbozzo)

Se sapessi suonare, tu, canzone,
usciresti dalle mani forgiata
in LA minore, suono di campana,
umore di mattina troppo presto,
quando si vuol dormire e non c’è dato.
E questo primo accordo
mi metterebbe con la faccia al bivio:
su verso il MI, con il suo suono cupo,
oppure giù, incontro al RE minore,
pacato e tintinnante,
ma denso sempre di malinconia?
Se sapessi suonare, vagherei
piuttosto di frequente in queste strade,
con improvvisi guizzi verso il SOL.

[Mario Badino, notte tra il 23 e il 24 febbraio 2013]

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Tanto per sdrammatizzare

Una poesia leggera, per sdrammatizzare un po’. Immaginate le accuse reciproche di un falconiere e un gigolò: ciò che fai è immorale, ciò che fai tu è crudele.

E perché dovremmo immaginare questa scena? Solo perché mi è venuta in mente, è ovvio. Perché mi è venuta all’orecchio. Il senso, se un senso c’è, lo scoprirò un’altra volta.

PS: Stavolta i versi hanno una metrica assolutamente a orecchio.

Il falconiere e il gigolò

Messo con le spalle al muro
da chi chiedeva conto
della sua vita, della morale
offesa, il gigolò
(ricorda un poco il zappatore
di Leopardi. Poco.)
sorrise d’imbarazzo e dopo,
guardando temerario il falconiere:
«In fondo siam colleghi», esplose,
«giacché anche tu lavori con l’uccello».
Quell’altro, avvampando di colore,
finì col riconoscersi battuto.
Discese il sole oltre i ravanelli
e l’uscio dell’osteria li ingurgitò,
pacificati.

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Colazione da Tiffany

Un film per non sentire
spegnersi le frasi,
fagocitate dalla stanza,
dal tempo che ristagna
prima dello slancio.

[Mario Badino, 27 dicembre 2012]

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Legacci

Sembra che scorra in altro modo il tempo
sotto quelle lenzuola,
in una stanza che sa un po’ d’albergo
ma che non è d’albergo:
sembra che sia più lento,
e le parole mancano ad entrambi.

Finché hai accettato d’essere distratta
dai miei racconti sempre uguali, sciatti,
finché ci siamo illusi,
facendo affidamento sull’affetto,
finché c’è stato modo
di fare quattro passi,
di bere il tè davanti a un telefilm,
nulla sembrava perso.

Hai perso il tempo degli ultimi giorni
a sciogliere i legacci della vita,
le palpebre pesanti
senza voler dormire,
tutta la tua attenzione per le cose
inutili, minute,
come la spina nella presa a muro.

Un lancinante gioco del silenzio
è stata la tua forma di commiato.

[Mario Badino, 14 dicembre 2012 – settima]

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