Un piccolo regalo: Stanze per un improbabile paesaggio

Come promesso, in attesa dell’uscita di Cianfrusaglia, festeggio con un regalo, cominciando a mettere online tutta la mia produzione poetica precedente la nuova raccolta.

Inizio con le Stanze per un improbabile paesaggio che, nell’ormai lontano anno 2000, hanno dato vita a un’esposizione realizzata insieme al fotografo Paolo Rey, autore delle immagini e di buona parte dell’allestimento.

Per il momento pubblico solo i testi, in futuro chissà.

Le poesie di questa raccolta, lette una dopo l’altra, compongono una specie di storia, ermetica quanto si vuole, ma sempre storia, a partire dalla grande città (Torino), fino a giungere sulla cima dei monti.

Senza altre parole, la lascio a chi legge, liberamente scaricabile in formato .pdf, secondo quanto previsto dalla licenza Creative Commons 3.0.

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E si riparte come si può

Tra qualche giorno – inizio luglio – esce Cianfrusaglia, la mia prima raccolta poetica edita ufficialmente. Qualcuno la troverà in libreria, altri su internet, altri non la troveranno perché non l’avranno cercata e pochi altri invece (ma bisogna avere fortuna) semplicemente vi si imbatteranno per strada e non la lasceranno più.

Per me che in qualche modo devo promuoverla, si tratta di un’avventura che si apre. Poeticamente, però, vorrei considerarla cosa fatta, nel senso che mi piacerebbe trovare nuove strade, forme e contenuti, per evitare di fossilizzarmi in quanto fatto finora. Di qui il titolo di questo articolo, E si riparte come si può, perché le idee chiare sono ancora una cosa lontana.

Mi trovo in Francia, a Mentone, per una breve vacanza; dopo giorni di sole, oggi abbiamo una pioggerella fitta, quasi piacevole. A me ha ispirato quanto segue, niente di che, può darsi, ma comunque una ripartenza.

Scorci

Non so più se concedermi una birra
o fare il salutista;
vorrei essere un cane, qualche volta:
per questo annuso intorno
gli scorci colorati di giardino,
le curve delle strade,
la massa d’acqua e sale che si muove
oltre questa ringhiera,
gli ombrelli aperti come se piovesse.

Seduto al tavolino,
osservo e faccio pace con me stesso,
in cerca d’istruzioni.

PS: Alla fine la birra l’ho presa e, dai versi, si vede.

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Aspettando Cianfrusaglia: festeggiamo con un regalo

Posso finalmente sciogliere la riserva: tra pochi giorni uscirà Cianfrusaglia, la mia raccolta di poesie, che sarà pubblicata dalle edizioni END (Edizioni Non Deperibili) di Aosta. La data probabile è il 1° luglio.

Sono naturalmente molto contento e quindi la notizia la do anche qui ma, dal momento che NoBlogs, la piattaforma che ospita ZiaPoe, è totalmente a-commerciale, tutte le informazioni circa l’acquisto e la promozione del libro saranno disponibili sul mio nuovo sito Cianfrusaglia e sull’omonima pagina Facebook.

Su ZiaPoe continuerò invece a pubblicare i miei versi “liberi” (licenza Creative Commons 3.0).

Anche le poesie del libro, comunque (alcune delle quali ho già pubblicato in queste pagine), godranno di uno status particolare: la casa editrice, che pure detiene i diritti d’autore, ha infatti scelto di pubblicare le varie opere – Cianfrusaglia compresa – con licenza Creative Commons, di modo che il contenuto sia liberamente diffondibile e riproducibile – citando l’autore e senza finalità commerciali – da parte di «singoli» e «soggetti non costituiti come imprese a carattere editoriale, cinematografico o televisivo».

In altre parole, è possibile leggere Cianfrusaglia pubblicamente, fotocopiarla interamente o in parte, annotarne i versi sui diari e sui blog, musicare le poesie e portarle in concerto: basta non avere fini di lucro. Se poi avete voglia di raccontarmi che cosa ne avete fatto, l’indirizzo è sempre lo stesso: camminante[at]inventati.org.

Per festeggiare l’uscita del libro (e dopo aver pubblicato in queste pagine una serie di poesie più vecchie) ho pensato di mettere liberamente online tutti miei vecchi lavori, a cominciare dall’esposizione Stanze per un improbabile paesaggio, risalente all’anno 2000, allestita insieme al fotografo Paolo Rey.

Avrei voluto iniziare oggi, ma il tempo non c’è stato. Anzi, per qualche giorno non ci sarò e pubblicherò soltanto singole poesie. Conto comunque di consegnarvi questo piccolo regalo prima dell’uscita del libro.

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Il lampione della poesia (2)

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Torno a parlare del lampione della poesia.

Lo scorso 10 aprile, ad Aosta, ho attaccato con lo scotch una poesia a un lampione (Ricerca). È stato l’atto costitutivo del Lampione della Poesia, un elemento del cosiddetto «arredo urbano» trasformato in supporto sul quale appendere versi, propri o altrui, in un luogo pubblico (che, essendo pubblico, è di tutt* e che tutt* dovremmo contribuire a far vivere).

Non avevo rivelato dove si trova, nella convinzione che sarebbe stato bello imbattervisi per caso, ma – nonostante la segretezza – l’iniziativa era stata apprezzata, nel mondo virtuale di Facebook come in quello reale, e sul lampione le poesie avevano cominciato a fiorire, mentre anche le pagine locali della Stampa avevano parlato dell’iniziativa.

Dopo questo inizio promettente, non ho più avuto molto tempo per occuparmi della cosa e devo ammettere che da qualche settimana il lampione non è più frequentato. Resiste ancora un unico foglietto, che da solo fa persino un po’ tristezza…

Varie persone, però, continuano a chiedermi dov’è questo benedetto lampione, lasciando intendere che apprezzano l’iniziativa e che vorrebbero partecipare. Mi piacerebbe dunque rilanciare, tornando ad attaccare io qualche foglietto, per dare il buon esempio, e soprattutto rivelando l’ubicazione del lampione. Per rispetto verso chi non volesse saperlo, nella speranza di imbattervisi da sol*, lo scriverò qui sotto, nella parte estesa dell’articolo, iniseme alle “regole” che avevo immaginato per l’iniziativa (se state già leggendo l’articolo in versione estesa potete sempre cliccare su Home e preservare l’alone di mistero).

L’idea, lo ricordo, è che i versi non sono una cosa d’élite e devono essere letti dal pubblico più vasto e vario possibile. Il meccanismo, invece, è quello dello scambio: prendo un foglietto e ne attacco un altro, come in un dono reciproco.

Rinnovo infine l’invito a tutte le persone che non abitano dalle mie parti a introdurre l’iniziativa anche nella loro città…

Il lampione della poesia si trova Continua a leggere

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Palazzinari

Una poesia vecchia un po’ rimaneggiata, non al punto comunque di spacciarla per nuova. La data in calce al testo si riferisce al rimaneggiamento.

I palazzinari

Rinchiusi nei Palazzi,
sereni, i governanti
pongon le basi per la nuova guerra
che scenderà dal cielo
e darà forma e grido
alla miseria muta
di volti deformati dalla rabbia,
dalla paura. I visi senza pace
accenderanno i nostri teleschermi
e poi scompariranno,
fagocitati da rotoli infiniti
di carta igienica rosa.

«Meglio portare guerra»,
dice la voce uscendo dai tombini,
commentatrice in ombra,
«meglio che averla in casa,
che perdere d’un tratto le certezze
della solita vita».

«Colpisca pure chi c’è abituato,
chi non ce l’ha la casa,
porti con sé in malora
chi al treno gli finiscono i binari,
chi non ha l’acqua e cosa può sperare».

Così, belli seduti, i governanti
decidono alleanze nei Palazzi:
progettano campagne
e fabbrican le prove necessarie
a bombardar Paesi,
per esportare la democrazia
e spremere petrolio dalla terra.

[Mario Badino, rivista l’11 giugno 2013]

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Il posto vuoto

Tornerò ancora sull’argomento, perché non è facile, per me, comprendere chi si prende il diritto di togliere una vita, apparentemente senza problemi di coscienza.

Chi concepisce la violenza come il mezzo più indicato per la lotta, al fine di imporre la propria visione del mondo.

Quanto ho appena detto potrebbe valere per molte situazioni diverse. Diciamo che lo spunto per questa poesia mi è stato fornito dalla nuova serie di aggressioni fasciste che insanguina l’Europa.

Nel disinteresse complice di tant*.

Il posto vuoto

E poi se uccidi qualcuno, che fai?
Lo chiamerai nemico
e ti racconterai che così è meglio.
Cercherai di credere
di aver salvato il mondo col tuo gesto.
Com’è pulito, adesso:
splende come la lama del coltello.

E se qualcuno ti uccide, che fai?
Lo chiamerai nemico
e ti racconterai che ti ha mancato.
Cercherai di credere
che in fondo è stato solo fortunato.
Comunque sarai morto,
e il morto parte e lascia il posto vuoto.

E se il nemico sono io, che fai?
Mi chiamerai nemico
e ti racconterai che faccio schifo.
Cercherai di credere
che il bimbo che son stato s’è guastato:
non son più umano, adesso,
ma carne per la lama del coltello.

Eppure, ogni mattina guardo il mondo
sperando che sia meglio.

[Mario Badino, 7-8 giugno 2013]

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Nani alle spalle dei giganti

Un po’ così.

Montecitorio

«I nani sulle spalle dei giganti
vedono più lontano
dei grandi che li hanno preceduti»,
mi dice la mia guida,
per consolarmi del cattivo umore
che non riesco a celare,
mentre mi porta in giro per le stanze
vuote del Parlamento.
«Certo che i padri costituzionali
erano un po’ diversi»,
ammette senza perdere il sorriso,
«ma grazie al loro esempio
possiamo andare avanti anche con questi».

Rimango taciturno
nella pace del lungo corridoio:
mi sembra di trovarmi
in un vecchio collegio di provincia,
inutile e noioso,
il tempo che ristagna a metà altezza,
tra pavimento e cielo.
D’un tratto ecco pararsi la buvette,
coi deputati intenti
a concionare: potenza del vino
e degli stuzzichini,
i nani sulle spalle dei giganti
hanno le soluzioni
adatte a tutti i mali del Paese.
«Portace ‘nantro litro»,
esorta ad una voce il centro-destra;
«Portane due», corregge
con bell’emendamento l’altra parte:
«Noi non vorremmo imporre
quest’altro sacrificio agli italiani,
ma, responsabilmente,
facciamo nostri i moniti europei».

Ed eccoli già sbronzi:
si strozzano con gli ossi del tacchino
e allungano le mani,
cercando il culo della cameriera,
forse più per stordirsi,
che per reale intento di possesso,
per non pensare d’esser
solo nani alle spalle dei giganti.

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Trappola per topi

polizia

E, dopo il colpo in testa,
eccola stesa sopra il marciapiede,
la fronte insanguinata,
i pensieri nebulizzati ai lati
del cervello, dispersi.
La telecamera del Ministero
osserva compiaciuta:
il meglio in fatto di rieducazione
è sempre il manganello.
La carica procede, s’allontana;
accanto alla ragazza
avrà vent’anni, forse pure meno
qualcosa muove in terra:
un ratto s’avvicina titubante.
Sarà la giovinezza,
sarà che non si può seguire sempre
il solito copione,
il ratto impietosito apre la bocca.

«L’errore principale»,
squittisce con tranquilla sicumera,
«è credere davvero
che noi, che governiamo stando in ombra,
siamo disposti a farvi massacrare.
per qualche spiccio appena.
Ben altra posta è in gioco:
piegare alle esigenze del Mercato
chi ancora resta umano,
chi non accetta d’essere comprato.
Perché una cosa sola
davvero non possiamo consentire:
l’idea che con la lotta
si possa costruire un mondo nuovo.
Per questo riserviamo
il grosso delle botte a chi s’affaccia
all’età adulta e vive
l’inutile illusione di contare».

[Mario Badino, 2 giugno 2013 – Festa della Repubblica]

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Per i più piccoli

bivio

Con questo testo inauguro la categoria Nel paese dei marmocchi, nella quale intendo raccogliere le poesie pensate per il pubblico più giovane.

A metà strada tra poesia, filastrocca e canzone, pubblico di seguito la classica fiaba dei tre porcellini, scritta in versi, da recitare la sera mettendo a letto i bambini…

I tre porcellini

Tre fratelli tre porcelli
che del lupo hanno paura
si son fatti la casetta
dentro la foresta oscura.

Il più pigro con la paglia
s’è tirato su un rifugio
viene il lupo, lui rincasa
e lo guarda dal pertugio

«Maialino, fammi entrare
sono qui voglio parlare»
al rifiuto di quell’altro
incomincia già a soffiare

La potenza dei polmoni
manda all’aria la capanna
corre il porco dal fratello
corre urlando, dice : «Mamma!»

Il secondo fratellino
s’era fatto la villetta
con un mucchio di rametti
ché quel giorno aveva fretta

«Entra, presto, chiudo l’uscio!»
dice con trepidazione
ma già il lupo è lì che soffia
«Io vi mangio in un boccone!»

Cade tutto giù per terra
e i fratelli vanno via
corron lesti dal più grande
«Su, vi porto a casa mia»

La sua casa è più robusta
ed è tutta di mattoni
viene il lupo soffia soffia
finché dolgono i polmoni

Sì la casa resta in piedi
però il lupo non va via
ha con sé una lunga scala
«Ora cambio strategia!»

Prova a entrare dal camino
ma il porcello golosone
visto che tra un po’ si cena
ha sul fuoco un pentolone.

Cade il lupo dentro  l’acqua
così calda che già bolle
esce fuori un po’ ustionato
con la coda floscia e molle

Scappa il lupo che è un piacere
per i bravi porcellini
che nel loro pentolone
stan cuocendo i bucatini.

E si riempiono il pancino
con la pasta e il parmigiano
mentre il lupo se la batte
lo salutan con la mano

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Ancora amarcord

Avevo detto «per un po’ basta amarcord» e invece…

Ho scritto queste tre poesie a partire dal 1994 o ’95. Avevo iniziato da poco l’università, a Torino. L’ultima è diventata una canzone, musicata dal mio amico Ronnie Bonomelli.

Seguiranno – lo prometto – testi nuovi. Intanto, per chi volesse, su Facebook, ho aperto la pagina Cianfrusaglia.

Corso Vittorio
Ore 7.24 del mattino

Metto fuori la testa,
comincio col non vedere
un tubo: solo nebbia,
poi vedo un tubo di scarico
e due fanali rossi.

Si allontanano rombando;
mi giro. TO 23672W
quasi mi porta via la testa.

Mi stufo e richiudo il tombino.

A te, seduta sull’autobus

A te, seduta davanti a me
sull’autobus,
che sei davanti a me
perché mi son girato io,
a guardarti; a te
qualche poca parola
che non sa esprimere
quella stretta al cuore,
quella parte del cuore
così vicina allo stomaco,
che ora è tutta
sottosopra.

Nello nella neve

Aveva nevicato tutta la notte, così quel mattino anche il vecchio Nello scese in strada a fare a palle di neve coi bambini.

Una la tiro una si disfa una mi becca
una mi becca una la tiro una si disfa
corro di corsa poi scivolo e casco
poi mi rialzo e ricorro sul ghiaccio.

E intanto acchiappo la neve qua e là
e la comprimo la tiro la inghiotto
e ricomincia a cadere dal cielo
e ricomincia a cadere di sotto.

Spalanco gli occhi il naso la bocca
spalanco bocca e c’entrano i fiocchi
spalanco il naso a sentire la neve
spalanco gli occhi spalanco i miei occhi

Scivolo ancora ma chi se ne frega
son vecchio e stanco ma giovane e forte
«Ma cosa fa, sciur Nello? Sta bene?»
dice la Sara, le cade la sporta.
Io mi diverto, diverto, che bello!
Se do spettacolo chi se ne importa.

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